Dietro la fuga di Kappler i litigi tra leader della Democrazia Cristiana

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David Spagnoletto
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Storia

Dietro la fuga di Kappler i litigi tra leader della Democrazia Cristiana

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David Spagnoletto

Una storia in salsa italiana, tipica della strategia della tensione che ha coinvolto il Paese dalla strage di Piazza Fontana agli attentati dei primi Anni 80: la verità mescolata a tante bugie col risultato che ognuno sposava una tesi diversa, creando una voluta Babele di opinioni e di presunte verità.

Non esce da questo schema, la fuga di Herbert Kappler, nazista condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine e a 15 anni per la “requisizione arbitraria” di 59 chilogrammi d’oro della Comunità Ebraica di Roma. Se ne sono scritte tante sull’evasione del SS dal reparto di chirurgia del Celio, ospedale militare di Roma. Come quella che lo voleva nella valigia della moglie che lasciava il nosocomio indisturbata. Una suggestione fatta balenare dal dc Vito Lattanzio, ministro della Difesa, rivelatasi ovviamente infondata viste le misure della borsa lunga 80 centimetri, larga 65 e con uno spessore di 15: per intenderci non ci sarebbe entrato dentro neanche un bambino. Prima, le due versioni di suor Barbara, la prima che si accorse della sparizione. In un primo momento la religiosa sostenne di aver trovato un fantoccio nel letto al posto dell’ufficiale delle Ss, salvo poi ritrattare dicendo di aver pensato che l’uomo fosse in giardino per una passeggiata. Comun denominatore: allarme tardivo e altro vantaggio decisivo per Kappler.

Poi è la volta della signora Kappler, che inizialmente disse di essersi caricato addosso il marito e di averlo calato dalla finestra con fune e carrucola, dall’altezza di dodici metri, fatto arrivare in strada grazie al montacarichi. Nel 2007 ammise la messinscena:

Parlai della corda e della carrucola perché non volevo che qualcuno fosse incolpato. In realtà, avvolsi il colonnello in una coperta e lentamente ci avviammo per le scale, scendendo un gradino alla volta senza fare il minimo rumore. Giunti in macchina, distesi mio marito sul sedile posteriore. Era quasi l’una di notte e sapevo di poter contare su almeno sette ore di vantaggio, fino al controllo mattutino del prigioniero.

I complici della fuga furono talmente tanti che si fa fatica a contarli. La verità è che Italia e Germania erano in trattativa da mesi in quel caldo 1977, anno che precedette quello passato alla storia per il “governo della non sfiducia” per l’astensione del Pci di Enrico Berlinguer al governo di solidarietà nazionale presieduto da Giulio Andreotti. Un anno dopo durante la prigionia nel carcere del popolo della Brigate Rosse, il presidente dc Aldo Moro scrisse una lettera dissociandosi da una trattativa di cui il capro espiatorio fu il ministro Lattanzio.

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