Erbstein, lo special one del Grande Torino

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David Spagnoletto
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Storia

Erbstein, lo special one del Grande Torino

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Ernő Egri Erbstein e il Grande Torino. La storia del calcio totale ante litteram, quando l’Arancia Meccanica olandese era solo un sogno, il Milan di Sacchi e il Barcellona di Guardiola pura utopia. Ma lui l’aveva vista prima degli altri, la rivoluzione del calcio che avrebbe dovuto cambiare anche il modo con cui il mondo vedeva il suo popolo.

Non fu così, almeno per la grande maggioranza dei paesi, infettati da quell’odio antisemita che portò l’ungherese Erbstein a girovagare in due continenti. Dall’Europa dove il nazismo stava sterminando gli ebrei agli Usa, che fermò l’avanzata della Germania nazista solo quando ormai il destino dei suoi correligionari era segnato.

Calciatore, uomo d’affari e allenatore-direttore tecnico, Erbstein scrisse la storia del calcio e dell’Italia, paese che prima gli diede riparo, poi lo costrinse a tornare in patria e poi lo riabbracciò anche grazie un personaggio storico del nostro sport: Ferruccio Novo.  

L’incontro con il presidente del Torino dal 1939 al 1953 segnò inesorabilmente la sua vita. Ernő Egri Erbstein dopo un passato sulle panchine di mezza Italia (Bari, Cagliari, Fidelis Andria, Lucchese e Nocerina) contribuì a plasmare assieme a Leslie Lievesley la leggenda del Grande Torino. Le cronache di allora riportano che Novo lo abbia consultato per gli acquisti di Ezio Loik e Valentino Mazzola, considerato il più grande calciatore italiano della storia e capitano dei granata, fermati solo dalla Tragedia di Superga, di cui ieri è ricorso il 68 anniversario.

Ernő Egri Erbstein era al suo posto seduto accanto ai giocatori che tanto amava, quando l’aereo, che portava il Torino a casa di ritorno da un’amichevole con il Benfica, si schiantò quel maledetto pomeriggio spezzando il sogno di una squadra invincibile.

Un destino beffardo quello di Ernő Egri Erbstein che riuscì a sfuggire alle barbarie naziste ma non al caso. Il 4 maggio 1949 non morì solo un club di calcio, a perdere la vita furono uomini rivoluzionari che vedevano nello sport la possibilità di superare le barriere.

Come disse Indro Montanelli: “State tranquilli…torneranno…sono soltanto in trasferta”.

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